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Omelia del Card. Montenegro in occasione dell’Immacolata Concezione

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Viviamo in un tempo particolare di instabilità, anche o proprio, perché è pieno di smarrimento e di contraddizioni. La storia del mondo sta cambiando, ne sono il segno le popolazioni che si spostano nel pianeta. È una precarietà generale che interessa anche il nostro territorio. Nonostante ripetiamo, forse per abitudine, che «la speranza è l’ultima a morire», tuttavia ciò che caratterizza noi, uomini di questo tempo e di questa terra, è di essere orfani di speranza. Infatti, anche qui, serpeggiano rassegnazione, sfiducia, tristezza, insicurezza, ambiguità, solitudine. Più che attendere il futuro come novità, lo si aspetta con timore. Abbiamo difficoltà a coniugare il verbo sperare però ci illudiamo aggrappandoci a speranze mignon e di piccola gettata (penso ai giovani e ai loro surrogati: droga, alcol, dipendenze; ai pensionati piantonati dinanzi le macchinette elettroniche a giocarsi la fortuna). Surrogati che affascinano, ma che sono ingannevoli tanto è vero che, come le bolle di sapone, improvvisamente scoppiano e fanno solo restare col naso all’insù.

È vero, come è stato detto, che «la speranza è come una “bambina” che ha problemi di crescita», eppure l’ Immacolata ci ricorda che per essere cristiani non bastano la fede e l’amore, ma occorre anche la speranza. Questa non è un’illusione, nè un sogno impossibile, è concreta perché ha un nome e un volto: Gesù. Senza speranza si resta senza Dio. E quando Dio non c’è, a vincere è l’egoismo che scarta gli altri, il calcolo che annulla la solidarietà e cancella la gratuità. Quando si spegne la speranza, vince la tristezza e si diventa insicuri, diffidenti, timorosi. Di proposito oggi, festa dell’ Immacolata e perciò della bellezza, suono questo campanello d’allarme e invito me e voi a non restare senza speranza.

Vi assicuro che non sono pessimista. Vi chiedo: non vi pare che Dio sta diventando il grande estraneo? Il toglierLo di mezzo sta rimpicciolendo talmente l’uomo, che facilmente si scopre la poca umanità che c’è in giro. Capita – giustamente – di commuoverci dinanzi a un animale che soffre (è una creatura vivente che merita rispetto), ma, per esempio, poi si resta indifferenti dinanzi a uomini (migranti) che hanno la colpa di voler vivere come gli altri e per questo soffrono e muoiono a migliaia, o dinanzi ai poveri che soccombono per la fame, o subiscono la violenza dei prepotenti o pagano il prezzo della corruzione e dell’ illegalità.

La nostra terra è ferita mortalmente da tante situazioni inquietanti: l’alta disoccupazione giovanile e no, è un’ inarrestabile emorragia di vita e vitalità che costringe a emigrare; le famiglie spezzate anche a causa dell’ emigrazione (figli senza padri e mogli senza mariti, padri soli in terra straniera); le nostre strade che non permettono comunicazioni veloci e sicure; l’università che stenta a ripartire; il turismo mordi e fuggi che non è risorsa né aiuta a una ripresa economica; le aziende quasi inesistenti e in difficoltà; la politica litigiosa e poco creativa; l’artigianato che tramonta; la violenza che si chiama mafia e il potere che si chiama massoneria; la chiesa spesso disinteressata ai problemi sociali; l’agricoltura in crisi e la difficoltà di stare nel mercato; il costo idrico eccessivo. So che parlare di queste cose non è popolare né gradevole. Ma so anche che in questa terra c’è tanta gente – giovane e meno giovane – coraggiosa e generosa, impegnata nel bene che getta testardamente i semi per un futuro diverso e migliore. Ed è la presenza di questa gente che fa dire che è possibile il meglio per questa terra. “Anche le nuvole più nere non sono mai così nere perché rivelano sempre un bordo d’argento”, dice un proverbio arabo.

E grazie a questa gente attiva e responsabile che, senza cadere in contraddizione con quanto dicevo prima, affermo che questo è pur essendo tempo critico è anche tempo in cui pulsa la vita e la luce. La natura stessa ci spinge alla speranza. Tra poco, nonostante il pieno inverno, vedremo sbocciare i mandorli che annunciano l’avvicinarsi della stagione buona. La speranza allora può diventare la nostra storia quotidiana.

Ogni uomo, ogni famiglia, ogni città possono risollevarsi; assieme ai fiori di mandorlo, possono spuntare risorse nuove. Basta crederci, fare rete e sbracciarsi le maniche! Anche noi possiamo essere capaci, se amiamo questa terra, invece di leccarci le ferite, di prendere decisioni che la riscattano perché rifiorisca l’economia, ci sia il lavoro, si vivano le regole della solidarietà, si cerchi il bene comune, si dica di no alla corruzione e ai giochi di interesse, si agisca insomma più positivamente.

Usciamo dalla logica del tutto va male o del non mi interessa e guardiamo la realtà con occhi nuovi, con un altro sguardo. Quando Gesù propose di dare da mangiare alla gente, gli apostoli la pensarono una cosa impossibile perché avevano a disposizione solo cinque pani e due pesci. Eppure, tutti ebbero da mangiare.

Impariamo a sperare, è un rischio da correre, ma non scegliamo una speranza qualsiasi, ma quella che si poggia nel Signore, e soprattutto guardiamoci e guardiamo attorno con occhi nuovi.

La Chiesa oggi ci invita a sollevare il capo, a guardare il cielo. L’Immacolata ci ricorda che c’è ancora bellezza e perciò speranza. Lei ne è la prova e la certezza. Oggi ammirandoLa dovrebbe essere più facile pensare che se Dio non spreca le sue meraviglie, neppure noi possiamo farlo. Da sempre siamo nei sogni di Dio e Lui vuole che ci restiamo per sempre.

Facciamo come i naviganti di una volta: la mano al timone e gli occhi alle stelle. Lo sguardo rivolto verso l’alto ci darà la forza di affrontare il mare anche se è notte. Guardare e amare il cielo è saper parlare di pace, di gioia, di ordine, di rispetto, di coraggio e soprattutto di bellezza. Maria, la tutta bella, ci aiuta a capire che la fede non solo fa guardare il cielo ma ce lo fa conservare e trovare dentro di noi. L’Immacolata ci assicura che il mondo è ancora pieno di colori, di profumi, di cose che valgono; che il cuore si riempie di cielo quando sa godere del volto di un bambino, dei fiori, delle forme delle nuvole, dell’eleganza di un albero, del calore del sole, di un sorriso, di una stretta di mano…  S. Francesco, appeso a un ramo d’albero a testa in giù, vedendo le cose sottosopra, disse: “Ora capisco che non è la terra a sostenere il cielo, ma è il cielo a sostenere la terra”.

L’Immacolata è il sigillo dell’ottimismo di Dio sull’umanità, è la sua firma sul progetto sempre valido di cieli nuovi e terra nuova, è il segno di quanto Egli stimi gli uomini e di come abbia bisogno di persone che intendono mettersi in gioco per portare a compimento la sua creazione. Anche a noi sono rivolte le parole della Bibbia: “Di gloria e d’onore l’hai coronato … L’hai fatto poco meno di un Dio”.  Chiudo con l’invito di S. Bernardo: Non distogliere lo sguardo da questa stella, Maria, se non vuoi essere travolto dalle tempeste. Se ti sentirai inghiottito dalla tristezza e dalla disperazione, pensa a Maria. Pregando Lei, non sarai disperato, pensando a Lei, non cadi in errore. Se Lei ti tiene, non cadrai; se Lei ti protegge, non avrai paura; se Lei ti guida, non ti stancherai; se Lei ti è propizia, giungerai alla meta!”.

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