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Prima Santa Messa ad Agrigento per il Cardinale Francesco Montenegro

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IMG-20150218-WA000118:25 – E’ stata prieseduta la Santa Messa, dal Cardinale Francesco Montenegro, oggi pomeriggio, nella Chiesa Sant’Alfonso, di Agrigento, in occasione dell’Imposizione delle Ceneri. Montenegro, è stato nominato, sabato mattina, 14 Febbraio, da Papa Francesco, come Cardinal Montenegro, consegnando la berretta cardinalizia e l’anello. Montenegro, è rientrato lunedì sera dopo la Santa Messa a Pompei dove diversi agrigentini, hanno seguito l’ex arcivescovo agrigentino. Oggi pomeriggio, la Chiesa di Sant’Alfonso è affollata di fedeli, in attesa che il Cardinale Montenegro entri per la funzione religiosa dell’Imposizione delle Ceneri. Nell’Omelia, Montenegro spiega: “La Quaresima, che oggi inizia, è il cammino che ancora una volta ci viene offerto per rianimare i nostri cuori e stupirci del grande amore che Dio ha per noi. Lo dimostrano le parole che manifestano la nostalgia che Dio ha di noi, parole che sono quasi una Sua preghiera rivolta a noi. È la stessa del Padre misericordioso nella parabola ai suoi due figli: “Ritornate a me con tutto il cuore”. Il risultato di questo ritorno-incontro sarà: “Vi toglierò il vostro cuore di pietra e vi darò un cuore di carne”.

Le parole di consolazione delle letture or ora ascoltate, la cenere che sarà posta sul nostro capo, l’invito pressante a pregare e a guardare con verità la nostra vita, sono le vie che ci vengono offerte dalla Chiesa per entrare nello spirito della Quaresima e iniziare il cammino di conversione, gioioso non triste perché porta alla Pasqua. Accettare tale proposta è fare la stessa esperienza di Zaccheo che, lasciatosi incontrare da Gesù, si è sentito riempire l’animo di grande gioia e ha visto splendere la sua casa e il suo cuore di luce nuova.

Convertirsi è girarsi dalla parte di Dio, è lasciarsi attrarre e sedurre dal Suo amore, gustare la Sua tenerezza, vivere sotto il suo sguardo, provare meraviglia e darGli il posto che Gli spetta. Dio non si accontenta di stare ai margini della nostra vita, di essere una scelta tra tante. È rendersi finalmente conto che, anche se noi pensiamo di poter stare senza Dio, Dio non può stare senza noi. Egli tiene troppo a noi, siamo troppo importanti per Lui. “Lui non è indifferente a noi. Ognuno di noi Gli sta a cuore, ci conosce per nome, ci cura e ci cerca quando lo lasciamo. Ciascuno di noi Gli interessa; il suo amore Gli impedisce di essere indifferente a quello che ci accade” (Papa Francesco). Ecco il motivo dei Suoi pressanti inviti ad accettare la sua proposta di amore. “Io non ti dimenticherò. Guarda io ti ho inciso sul palmo della mano, mi sei continuamente davanti agli occhi”. Convertirsi è vivere la fede come amicizia stretta e forte col Dio che getta alle spalle o in fondo al mare i nostri peccati.

In questo cammino quaresimale il digiuno aiuta a cambiare il cuore. Gli stessi sacrifici quaresimali – fioretti o mortificazioni – se vissuti in un contesto di amore non sono privazioni o rinunce da sopportare, ma possibilità di condivisione, di gioia, di fraternità, di generosità. Ci si priva di qualcosa per condividerla con chi non l’ha, per riempire la vita di chi è solo, per stringere la mano a chi non ce la fa o è stanco. E tutto senza ricambio.  Isaia dice di “sciogliere le catene inique, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo, dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa i miseri, senza tetto, vestire uno che vedi nudo, senza distogliere gli occhi da quelli della tua carne”. “Allora – dice il profeta – la tua luce sorgerà come lampada, la tua ferita si rimarginerà presto”.

Il digiuno, se diventa carità, pulisce il cuore e gli occhi, e fa riconoscere il volto di Cristo nei fratelli vicini e lontani, poveri e bisognosi, affamati e assetati, nudi e senza tetto, malati e forestieri, carcerati ed emarginati, e anche coniugi, figli e genitori, colf, colleghi d’ufficio e compagni di scuola… Ma lo fa riconoscere anche nelle colonne di schiavi che i faraoni e gli Erode di oggi continuano a condannare alla fame e anche alla morte. Gli sbarchi nella nostra terra sono l’aperta denuncia delle tragedie legate al terrorismo, ai genocidi, agli attentati, ai disastri ecologici. E noi credenti, davanti a tutto questo, non possiamo restare spettatori. Né possiamo sentirci a posto con la nostra fede se pensiamo che questa gente (per qualcuno gentaglia) deve tornarsene indietro perché sono un inquietante disturbo. Convinciamoci che rifiutarli e disprezzarli è rifiutare e disprezzare Cristo. Non sono io a dirlo. Ma è Lui a identificarsi, nel capitolo 25 di Matteo, con l’affamato, l’assetato, il profugo (afferma: “l’avete fatto a me”). Dico questo con amarezza, perché stento a capire come ci si possa definire buoni cristiani o impegnati operatori pastorali, se poi si nutrono sentimenti antievangelici o si resta indifferenti dinanzi a tanti fratelli immigrati. Agli operatori pastorali (catechisti, animatori della liturgia, della carità e delle missioni) che pensano così consiglio, anche per coerenza personale, di sospendere il loro servizio nelle comunità. Il Vangelo o si accoglie e si annunzia tutto o non si è cristiani. Non possiamo essere noi a decidere di amare chi vogliamo o chi ci piace. Se desideriamo che qualcosa cambi dobbiamo iniziare a cambiare i nostri cuori. “Il cristiano è colui che permette a Dio di rivestirlo della sua bontà e misericordia, di rivestirlo di Cristo, per diventare come Lui, servo di Dio e degli uomini”. Dico anch’io con Papa Francesco: “Quanto desidero che le nostre parrocchie e le nostre comunità in particolare, diventino delle isole di misericordia in mezzo al mare dell’indifferenza!”. Senza dimenticare che “la sofferenza dell’altro costituisce un richiamo alla conversione, perché il bisogno del fratello mi ricorda la fragilità della mia vita, la mia dipendenza da Dio e dai fratelli” .

La Quaresima – questo ci auguriamo – significhi perciò passaggio: dall’egoismo all’amore, dal possesso al dono, dalla paura alla speranza, dalla morte alla vita. Per fare tale passaggio è necessario togliere ciò che è zavorra nella nostra vita: il fatalismo, la rassegnazione, l’indifferenza, le cattiverie, le invidie, i giudizi cattivi, il rancore….

Ritornare al Signore, è metterLo al centro, ma annullando i miracolismi e le superstizioni. Senza ricorrere cioè ai maghi e alle fattucchiere che promettono di far splendere il sole anche sulle esistenze più nere. È un fiume di denaro quello che si dà loro che ha come sponda l’illusione e la disperazione.

Se pensiamo di esorcizzare il domani con inutili e costosi talismani è perché non c’è fede nel Signore. La fede è libertà, è serenità, è forza, è speranza. È fidarsi di Lui e della Sua parola, è vedere la vita con i Suoi occhi. Scriveva Chesterton che a prendere il posto dei credenti nel mondo moderno non sarebbero stati gli atei, ma i …creduloni. E tutto questo avviene dopo duemila anni di cristianesimo. Come se Cristo non fosse esistito. Non è possibile professarsi cristiani e andare da tali persone per richiedere prestazioni e previsioni.

Questo è il tempo in cui Dio vuole parlarci. LasciamoGlielo fare. Anche questa è preghiera. Diamo più spazio al silenzio che se qualche volta è tacere, è sempre ascoltare. Dio ha voglia di incontrarci e di parlarci, per ascoltarLo dobbiamo metterci un po’ fuori dalle nostre cose e lontano dalle troppe parole.

Lasciamoci condurre per mano dalla Chiesa in questo cammino verso l’incontro col Risorto. Sarà bello se, quando brillerà la luce della Pasqua, ognuno di noi con gioioso stupore potrà esclamare con S. Gregorio Nazianzeno: “Io sono piccolo ma sono anche grande, umile ma anche alto, mortale ma anche immortale, terrestre ma anche celeste: se sono l’uno a causa della carne, sono l’altro a causa dello spirito; l’uno ce l’ho in comune con questo mondo, l’altro con Dio”.

Il Signore ci benedica e la Madonna ci custodisca.

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