“ – La tua è una storia di coraggio, da cui tutti noi possiamo apprendere qualcosa. Decidere di lavorare in prima linea sarà stata una scelta difficile e non sarà mancata la paura. – Non sono un’eroina, sono solo una studentessa di Medicina che ha sentito una possibilità di formazione in questa attività di volontariato. Rimanendo a casa, in quarantena, avrei fatto sicuramente del bene ma nel mio caso, potevo dare effettivamente una mano. Non ho considerato l’adesione alle attività come un’opzione. La paura c’era. Ogni giorno mi chiedevo se stessi facendo la cosa giusta. I miei dubbi riguardavano l’ovvia preoccupazione dei miei cari sapendo che ero esposta. La paura per me stessa c’era, ma non eccessiva. Ero tranquilla perchè ci hanno assicurato delle ottime protezioni, al pari di medici e infermieri. Naturalmente il rischio deve essere preso sempre con intelligenza, perchè essere un buon professionista non significa vivere da temerario. Essere un buon professionista significa aiutare gli altri e per farlo bisogna prima tutelare se stessi. Non bisogna considerarli eroi.……….. – Parlando della tua esperienza: di cosa ti sei occupata durante l’attività di volontariato? – Mi sono occupata di accogliere i pazienti al pronto soccorso e qualche volta ho fatto ECG a pazienti in unità Covid. C’era anche una parte amministrativa: dovevamo raccogliere i dati dei pazienti positivi da una parte e comunicare i risultati negativi dei tamponi ai soggetti che avevano effettuato il test. L’attività vera e propria è stata quella del triage in tenda (lavoravamo all’aperto): dovevamo somministrare un questionario ai soggetti sospetti Covid e decidere se mandarli a casa o farli proseguire con altri esami……… – Cosa hai provato stando a contatto con i malati? – La parte più difficile era dire ai cari di dover lasciare il paziente lì e non poter rimanere con lui………… (L’intera intervista sul link: https://www.universome.eu/2020/04/29/la-storia-di-anna-da-studentessa-unime-in-erasmus-a-volontaria-in-prima-linea-nella-lotta-al-covid19-a-bruxelles/)
“L’Italia sta lentamente aprendo la vita nella città natale di Aragona, che è cambiata in molti modi a causa del coronavirus. Morreale – descrive la situazione da incubo. – Non c’è nessuno in città. Alla gente non è nemmeno permesso fare shopping. Devi chiamare il negozio in modo che il cibo venga consegnato direttamente a casa tua, dice Morreale. Secondo Morreale, il momento critico in Sicilia è stato all’inizio della crisi, quando le restrizioni stavano appena entrando in vigore. La gente veniva dal nord in treno quando il giorno successivo non era più possibile. Invece di divieti, sono stati utilizzati i prompt. – Non c’era molta supervisione e la situazione era nuova per tutti. Alcuni erano irresponsabili e hanno incontrato i nonni in una casa di cura, dice Morreale. Il primo ministro italiano Giuseppe Conte ha dichiarato domenica che le restrizioni causate dal coronavirus saranno gradualmente eliminate. Permetterà ai membri della famiglia di Morreal di incontrarsi lunedì e iniziare a lavorare. Tuttavia, Morreale spera che le persone terranno presente che il virus esiste ancora. – C’è molta incertezza. Le famiglie possono essere incontrate, ma le cene non sono consentite. Le restrizioni vengono ridotte e la responsabilità della sicurezza è ora a carico delle persone”.