Settantacinque anni fa, il 27 gennaio 1945, nel freddo inverno polacco si aprivano alla libertà i cancelli del campo di concentramento di Auschwitz, abbattuti dalle truppe sovietiche. Celebrando il ricordo di questo storico avvenimento, nella giornata ufficialmente istituita per commemorare le vittime dell’Olocausto.
Rivolgo il mio pensiero e dell’intera Amministrazione, innanzitutto agli uomini, donne e bambini che da quella prigione – e dalle troppe altre simili ad essa, in un’Europa devastata e annichilita dal nazismo – non fecero ritorno a casa. Il nostro abbraccio stringe, idealmente, coloro che di quell’orrore sono stati superstiti e testimoni, trovando la forza di riaffacciarsi alla vita nonostante il dolore, nonostante le ferite mai rimarginate, nonostante quel numero impresso sulla pelle che tentava di negare l’umanità, la dignità e l’individualità della persona.
Per questo non bisogna abbassare la guardia, non bisogna sottovalutare parole e gesti che contribuiscono a fomentare odio e violenza. Ricordare, allora, non si esaurisce nel gesto di riprendere in mano testi e documenti, cristallizzando i fatti e gli eventi, relegandoli a mera nozione. No, la ragione vera per cui è stato istituito il Giorno della Memoria è quella di fornire, alla società contemporanea e ancor più agli adulti di domani, gli strumenti per ripensare a quanto è successo. Perché la memoria sia strumento critico, coscienza partecipata e condivisa, elemento necessario per disinnescare le violenze quotidiane. Un bene prezioso, che ognuno di noi è chiamato a coltivare.