Si tratta di sopralluoghi non invasivi, mirati a documentare la condizione attuale dei 184 siti archeologici censiti dall’Archeoclub di Campobello di Licata tra il 1999 e il 2013, in modo funzionale alla redazione definitiva della Carta Archeologica Comunale e alla predisposizione del Sistema Informativo Territoriale sulle potenzialità archeologiche, in corso di completamento.
Tra le osservazioni effettuate dai ricognitori oltre ad un progressivo diradamento dei frammenti in superficie è stato documentato un vistoso incremento delle recinzioni, segno di una diffusa tendenza ad impedire a terzi ed estranei l’accesso ai propri terreni, oltre ad una progressiva e drastica riduzione delle aree rocciose affioranti, con la conseguente quasi scomparsa delle tombe a grotticella di età preistorica che una volta caratterizzavano il territorio.
Ad essere stati vittima del lavoro antropico sono stati pure numerosi siti archeologici posti in pendio, in terreni sbancati sia come cave che per il pareggiamento dei suoli ad uso agricolo.
Documentata, infine, la presenza incessante di scavi clandestini condotti alla ricerca di oggetti in metallo, prezioso e non.
A dirigere le attività sul campo sono stati la dottoranda Mariangela Vangelista e l’archeologo Salvo Di Prima, con il supporto scientifico dei professori Oscar Belvedere e Aurelio Burgio dell’Università degli di Studi di Palermo
Alle attività hanno partecipato anche dei volontari provenienti da diversi paesi europei ospitati dall’associazione Arci Strauss di Mussomeli. Intanto sono attese per la seconda metà di ottobre alcune archeologhe francesi, che alloggeranno nella nuova sede della Kalat International Summer School situata in via Tevere a Campobello di Licata.
“E’ la prima volta che, in Italia – ha dichiarato la dott.ssa Emilia Bella, presidente dell’Archeoclub,– non solo si effettua una attività di ricerca sistematica ed estensiva su tutto un territorio comunale, ma si programma una revisione dei dati anni dopo la loro prima individuazione al fine di comprenderne lo stato di degrado dei siti e il loro grado di depauperamento”.
“E se mancano ancora oggi sul territorio delle regolari attività di scavo archeologico – ha proseguito l’architetto Giovanni Vultaggio, Project Manager del progetto Kalat – proprio le ricerche territoriali svolte potranno costituire un unicum nazionale, una forte base conoscitiva per avviare delle vere e proprie campagne di scavo, tese a comprendere le vicende insediative e attrarre magari delle università straniere. Se siamo certi del forte supporto dell’Assessorato dei Beni Culturale e dell’Identità Siciliana, ai nostri progetti con l’archeologo Sebastiano Tusa, da sempre consulente scientifico del Progetto Kalat, ora chiediamo anche il puntuale contributo delle forze politiche e istituzioni locali, tanto che già a fine mese avvieremo un confronto sull’esperienza di Campobello di Licata con Università, Soprintendenza, Istituzioni e forze politiche sullo sviluppo delle attività di turismo e ricerca archeologica per incidere efficacemente sulla realtà archeologica del territorio e, in troppi casi, sul suo colpevole e prolungato abbandono”.