Agrigento, Comuni, Province

Siamo ancora in grado di riconoscere la nostra città, il nostro paesaggio, la nostra storia?

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12:07 – Siamo ancora in grado di riconoscere la nostra città, il nostro paesaggio, la nostra storia? Siamo in grado di descrivere quanto vediamo, tocchiamo, attraversiamo? Le città, i territori sono diventati illeggibili, difficili da comprendere, non riescono più a rivelare quanto di nascosto hanno sotto la loro ‘pelle’. Le trasformazioni che ci coinvolgono e che ci inglobano non permettono più la riconoscibilità di ciò che prima era definito e comprensibile, negando la capacità di potere raccontare la città, il paesaggio con parole o immagini.

Abbiamo sempre più bisogno di recuperare le nostre radici, le nostre memorie, specialmente quelle materiali, per non perdere la realtà, e per non lasciarci travolgere dal virtuale, dal globale, dall’impermanente. Allora dobbiamo recuperare quelle permanenze materiche che ancora possono raccontarci la nostra storia e riconsegnarci la nostra identità. Scrutando alcune vie del centro di Agrigento è ancora possibile leggere le grandiose tracce che il passato ci ha consegnato, è ancora possibile scorgere le antiche fortificazioni della città storica, con le grandiose mura chiaramontane, un tempo vero e proprio diaframma della città, oggi distrutte, fagocitate dalla città o peggio intrappolate e sepolte sotto cumuli di inerti, nascoste agli occhi degli stessi cittadini.

E’ questo il caso della “porta di mare”, coperta di detriti, abbandonata in un lembo di terra desueto  tra la città vecchia e quella nuova, proprio sotto l’omonima via ormai costellata dai cosiddetti “tolli”. Eppure visitando questo terra amena è ancora possibile immaginare l’antico splendore di questa porta, unico accesso a sud della città, capolinea di una trazzera che congiungeva la città di Agrigento alla sua marina (l’odierna Porto Empedocle), là dov’era il caricatore, ricca di traffici commerciali, percorsa da mercanti e contadini che scorgendola da lontano cominciavano a prelibare l’arrivo in città. Inutile oramai cercare le cause o le responsabilità di una negligenza e di una disaffezione verso il nostro patrimonio edilizio che si è perpetrata per anni, doveroso invece preoccuparsi della messa in sicurezza che scongiuri probabili crolli, interrogarsi sulle possibilità future, elaborare progetti che possano ricucire lo strappo culturale ma soprattutto fisico della nostra città. Se la permanenza è definita come la continuità nel tempo e di contro la continuità come estensione non interrotta nel tempo, entrambi i termini sono legati da una matrice comune che gioca un ruolo necessario per il nostro futuro. Permanenza e continuità procedono così in accordo, divenendo ognuno il sinonimo e l’opposto dell’altro. Il permanere di un edificio e dei suoi caratteri linguistici, architettonici e materici costituisce testimonianza, memoria, conoscenza, cultura e storia della civiltà che lo ha costruito in un processo temporale continuo.

Permanenza e continuità si sovrappongono e creano il bagaglio che ogni società porta con sé, che fornirà le risposte più idonee a future permanenze e trasformazioni sia della città che del paesaggio, in cui la società vive e si riproduce: città continue (permanenti), paesaggi continui (permanenti), architetture continue (permanenti). Cosi’ è possibile elaborare un progetto che metta in relazione le permanenze delle porte superstiti e cioè “Porta di mare”, “Porta dei Saccaioli” e “Porta dei panettieri” con i residui industriali della linea ferrata limitrofa definendo  una continuità culturale e materica tra la “città vecchia” e “la città nuova”.  Il Laboratorio Vallicaldi propone un progetto di liberazione e restauro delle porte accompagnato dalla riqualificazione del lembo di terra che separa la cinta muraria sud dalla linea ferrata allo scopo di definire un’area di passeggio e insieme di accesso alla città che sia in grado di coniugare la ricchezza storica ad un alto livello di qualità della vita, che sia attrazione turistica ma anche servizio per tutti i cittadini e che rappresenti un arricchimento culturale ed economico per l’intera città. Con l’inserimento di eleganti sistemi di collegamento verticale le porte potrebbero tornare a svolgere il ruolo di punti di accesso alla città, un piccolo stabile oggi miseramente abbandonato ai piedi del parcheggio pluripiano potrebbe diventare info point e luogo di ristoro per turisti e cittadini, con le adeguate piantumazioni si potrebbe rievocare l’antico giardino della Giudecca che un tempo dominava lo sperone roccioso e del quale ancora permane qualche traccia, il tutto senza consumo di nuovo suolo ma riqualificando ciò che già esiste. Con un adeguato progetto (da proporre in ambito europeo dove il recupero del patrimonio edilizio e i principi della mobilità sostenibile sono guardati con grande favore) si potrebbe realizzare un percorso paesaggistico-culturale di livello mondiale che restituisca ad Agrigento quel ruolo di porta del mediterraneo che la storia le ha consegnato.

 Anche su questi temi, non più rimandabili, deve orientarsi il progetto di una città nuova (ad oggi ancora stagnante e soffocata) alla sua prossima scadenza elettorale, affinché la memoria si faccia analisi del presente e condizione di un futuro attivo, critico e discontinuo al più recente passato.

LA REDAZIONE

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