La guardia di finanza di Palermo ha arrestato 91 persone tra boss, gregari, estortori e prestanomi di due storici clan palermitani. Il maxiblitz, coordinato dalla Dda di Palermo, ha colpito i clan dell’Acquasanta e dell’Arenella. In manette sono finiti esponenti di storiche famiglie mafiose palermitane come quelle dei Ferrante e dei Fontana. Le accuse contestate sono a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, intestazione fittizia di beni, ricettazione, riciclaggio, traffico di droga, frode sportiva e truffa. Inoltre, tra gli indagati, c’è anche un ex concorrente del Grande Fratello. Si tratta di Daniele Santoianni, che ha partecipato alla decima edizione del reality, e che ora è ai domiciliari con l’accusa di essere un prestanome del clan. Santoianni era stato nominato rappresentante legale della Mok Caffè S.r.l., ditta che commerciava in caffè, di fatto nella disponibilità della cosca.
Quella dei Fontana è considerata una famiglia storica di Cosa nostra palermitana descritta dal pentito Tommaso Buscetta come una delle più pericolose. Dalle indagini è emerso il ruolo di vertice di Gaetano Fontana, scarcerato per decorrenza dei termini nel 2013 dall’accusa di mafia, tornato in cella nel 2014 e nel 2017 uscito nuovamente dopo aver scontato la pena. Oggi sono stati arrestati anche i fratelli (e la madre): Giovanni, un lungo elenco di precedenti per ricettazione, omicidio, porto abusivo di armi e resistenza a pubblico ufficiale, e Angelo, dal 2012 sottoposto all’obbligo di soggiorno a Milano (avevano messo su una redditizia attività imprenditoriale di commercio di orologi di lusso attraverso società italiane ed estere gestite da prestanomi). Per gli inquirenti Gaetano Fontana sarebbe il punto di riferimento indiscusso dei “picciotti” dell’Acquasanta, ruolo che avrebbe mantenuto anche mentre era detenuto.
Altro personaggio di rilievo dell’indagine è Giovanni Ferrante, braccio operativo del clan Fontana. Ferrante usava attività commerciali del quartiere per riciclare i soldi sporchi, ordinava estorsioni e imponeva l’acquisto di materie prime e generi di consumo scelti dall’organizzazione. Già condannato per mafia, dal 2016 è stato ammesso all’affidamento in prova ai servizi sociali. Uscito dal carcere (conversava tranquillamente con altri uomini d’onore dalla finestra della cella dell’Ucciardone nella quale era recluso), ha consolidato la propria posizione di leader all’interno della famiglia mafiosa e per la gestione degli affari illeciti usava come intermediatrice la compagna, Letizia Cinà. Molto temuto, modi violenti, in una intercettazione dopo essere stato scarcerato dice: “Oramai non ho più pietà per nessuno! Prima glieli davo con schiaffi, ora glieli do con cazzotti, a colpi di casco, cosa ho in mano, cosa mi viene”. Un’altra intercettazione svela Ferrante che insegnava al figlio come minacciare e intimidire i nemici: “Tu devi chiamare Pietro, lo fai scendere e fai scendere pure a suo figlio. Unisci un bel gruppo di ragazzi e gli devi dire così, a padre e figlio: dice mio padre, ‘Vedete ora di mettervi un tappo in bocca e non parlate più che perché manco vi facciamo uscire più e manco a lavorare vi facciamo scendere. Lo chiudete con una decina quindicina di persone, lo chiudete e gli dici, ‘vedi che qua morite lì’. Vi fate trovare con le mazze, legnate a tempesta! Senza perdere tempo, fallo morire là direttamente, non gli dare la possibilità che torna a casa!”. Altro personaggio di spicco è Domenico Passarello, a cui era stata delegata la gestione dei giochi e delle scommesse a distanza, del traffico di stupefacenti, della gestione della cassa e della successiva consegna del denaro ai vertici della famiglia per versamento nella cassa comune.
L’inchiesta ha svelato gli interessi dei clan negli appalti e nelle commesse sui lavori eseguiti ai cantieri navali di Palermo (la gestione avveniva tramite ditte amiche, la cooperativa Spa.ve.sa.na è finita al centro dell’indagine perché sarebbe stata lo strumento appunto con il quale gestire appalti, subappalti e commesse), nelle attività del mercato ortofrutticolo (uno dei business sarebbe l’affitto delle “carretelle”, i carelli metallicci utilizzati dai commercianti), nella gestione delle scommesse online (i clan ne avrebbero il monopolio) e delle slot-machine, oltre che in quella “storica” del traffico di droga e nelle corse dei cavalli, dove sarebbero state truccate delle corse negli ippodromi di Torino, Villanova d’Albenga (qui è finito in manette un 48enne, ma la società ha annunciato di essere “parte lesa”), Siracusa, Milano e Modena (dall’indagine, che ha portato al sequestro di 12 cavalli, risulta essere Mimmo Zanca l’uomo della cosca nel mondo dell’ippica: era stato già arrestato in passato). Lunghissima la lista delle attività commerciali sottoposte al racket del pizzo. Sequestrati anche beni del valore di circa 15 milioni di euro. Il blitz è stato fatto in Sicilia, Lombardia (arrestato un macellaio di 34 anni, accusato di aver riciclato fondi dei clan palermitani), Piemonte, Liguria, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Marche e Campania e sono stati impegnati 500 uomini delle Fiamme Gialle, con l’appoggio di un mezzo aereo e di unità cinofile addestrate per la ricerca di armi, stupefacenti e valuta.
Attività ferme per il lockdown, una drammatica crisi economica, imprese sull’orlo della chiusura e Cosa nostra pronta a sfruttare l’emergenza. Questa è la fotografia della realtà economica palermitana messa nero su bianco nell’inchiesta della Dda di Palermo. Il gip che ha disposto gli arresti parla di “contesto assai favorevole per il rilancio dei piani dell’associazione criminale sul territorio d’origine e non solo”. Il quadro dipinto, non frutto di prognosi ma basato su dati di inchiesta, è allarmante. “Le misure di distanziamento sociale e il lockdown su tutto il territorio nazionale, imposti dai provvedimenti governativi per il contenimento dell’epidemia, hanno portato alla totale interruzione di moltissime attività produttive, destinate, tra qualche tempo, a scontare una modalità di ripresa del lavoro comunque stentata e faticosa, se non altro per le molteplici precauzioni sanitarie da adottare nei luoghi di produzione. Da una parte, l’attuale condizione di estremo bisogno persino di cibo di tante persone senza una occupazione stabile, o con un lavoro nell’economia sommersa, può favorire forme di soccorso mafioso prodromiche al reclutamento di nuovi adepti. Dall’altra, il blocco delle attività di tanti esercizi commerciali o di piccole e medie imprese ha cagionato una crisi di liquidità difficilmente reversibile per numerose realtà produttive, in relazione alle quali un ‘interessato sostegno’ potrebbe manifestarsi nelle azioni tipiche dell’organizzazione criminale, vale a dire l’usura, il riciclaggio, l’intestazione fittizia di beni, suscettibili di evolversi in forme di estorsione o, comunque, di intera sottrazione di aziende ai danni del titolare originario”.
Inoltre, da tempo i fratelli Angelo, Giovanni e Gaetano Fontana vivono a Milano dove hanno spostato il centro dei loro affari e riciclano denaro sporco proveniente da estorsioni, traffico di stupefacenti e controllo del gioco d’azzardo. Gli inquirenti parlano di una vera e propria delocalizzazione al nord che la “famiglia” ha realizzato grazie a una rete di complici e ai patrimoni accumulati. Affari realizzati senza intimidazioni, “con una contaminazione silente, ma non meno insidiosa per il tessuto connettivo dell’economia nazionale, in termini di alterazione della libera concorrenza, indebolimento delle tutele per i lavoratori ed esposizione delle istituzioni alla corruzione”, continua il gip. L’operazione di delocalizzazione riguarda diverse attività commerciali tra cui anche attività di produzione e commercio del caffè, con un trasferimento delle aziende da Palermo a Milano, che ha goduto delle complicità di imprenditori lombardi. Gli investigatori lanciano inoltre l’allarme sulle ingerenze mafiose in una distribuzione veloce e generalizzata di aiuti e crediti per imprenditori e operatori del commercio, per favorire la ripresa economica e che, per essere tale, deve limitare i controlli preventivi delle amministrazioni pubbliche e degli istituti di credito sui potenziali beneficiari. “La velocizzazione dell’accesso alle misure di sostegno creditizio, affidata soprattutto al senso di responsabilità e alla correttezza dei richiedenti potrebbe invogliare i componenti della organizzazione mafiosa a manovre spregiudicate dando fondo a reti relazionali collaudate, con imprenditori, funzionari pubblici e agenti degli istituti di credito compiacenti, per attivare manovre truffaldine in grado di intercettare indebitamente denaro pubblico”.
Le parole del Procuratore aggiunto di Palermo Salvo De Luca
Il procuratore aggiunto di Palermo Salvo De Luca intervenendo alla conferenza stampa, in cui sono stati illustrati i particolari dell’inchiesta, ha dichiarato: “Le donne vengono coinvolte in alcune attività dei clan, ad esempio la gestione delle casse mafiose. Non si parla di affiliazione ma di un ruolo negli affari sì”.
Le parole del Presidente della Commissione parlamentare Antimafia Nicola Morra
Nicola Morra, presidente della Commissione parlamentare Antimafia, ha dichiarato: “Faccio il mio plauso alla Procura di Palermo al capo procuratore Lo Voi e i suoi magistrati per la brillante e complessa operazione che ha condotto all’arresto di 91 mafiosi. Complimenti alla guardia di finanza che ha condotto le indagini e ha effettuato gli arresti. Se qualcuno pensa che la mafia sia un problema minore, che non rappresenta un’emergenza nazionale, ha ancora una volta la dimostrazione del contrario. Le mafie sono all’assalto degli imprenditori onesti e dell’economia legale. Plaudo di cuore, quindi, agli uomini dello Stato che mantengono fede al giuramento fatto di lealtà alle Istituzioni democratiche e in difesa dei cittadini e delle loro comunità”.