Al centro delle indagini, che costituiscono un’ulteriore fase dell’articolata manovra investigativa sviluppata dalla A.G. di Palermo e dall’Arma dei Carabinieri in direzione della articolazione agrigentina di cosa nostra, è la famiglia mafiosa di Licata al cui vertice, nella qualità di promotore e organizzatore, è risultato essere il pregiudicato LAURIA Giovanni il quale presiedeva a riunioni ed incontri con gli altri associati, gestendo e pianificando tutte le relative attività ed affari illeciti, mantenendo il collegamento con esponenti di altre famiglie di cosa nostra della Sicilia Orientale, al fine di progettare la realizzazione di attività volte ad alterare le ordinarie e lecite dinamiche imprenditoriali.
Le relazioni tra cosa nostra agrigentina e cosa nostra catanese
L’indagine ha preso spunto dalle qualificate dinamiche relazionali ultra provinciali documentate dal R.O.S. che vedevano protagonisti da una parte il noto capomafia SEMINARA Salvatore (ritenuto all’epoca al vertice della famiglia di Caltagirone) ed i suoi accoliti e dall’altra alcuni esponenti mafiosi licatesi capeggiati da LAURIA Giovanni.
Dette dinamiche, che attualizzavano i solidi e risalenti legami esistenti tra cosa nostra agrigentina e quella catanese, erano nel caso di specie prodromiche all’infiltrazione dei lavori relativi alla realizzazione di un importante complesso turistico alberghiero e alla demolizione di immobili abusivi nel Comune di Licata.
Nello specifico, le riunioni di LAURIA e dei suoi più fidati sodali con gli esponenti della famiglia mafiosa di Caltagirone, sono state dettagliatamente documentate dal R.O.S. e hanno sin da subito assunto una rilevante valenza investigativa anche in riferimento al coinvolgimento di SEMINARA Salvatore, esponente mafioso di indiscussa importanza che, attualmente sotto processo perché ritenuto al vertice della famiglia mafiosa di Caltagirone e mandante di un duplice efferato omicidio commesso il giorno di Pasqua del 2015 a Raddusa (CT), ha già subito delle condanne definitive in quanto individuato – tra le altre cose – come massimo vertice provinciale di cosa nostra per il territorio di Enna.
Le indagini sulla consorteria licatese
In ragione delle citate risultanze investigative, veniva ampliato il monitoraggio tecnico di LAURIA Giovanni e dei soggetti agrigentini protagonisti delle dinamiche associative sopra descritte, attività questa che permetteva di individuare i componenti (MUGNOS Giovanni, CASA Giacomo, LAURIA Vito e LAURIA Angelo) del gruppo mafioso da questi diretto quale pericolosa articolazione di cosa nostra inquadrata nella famiglia di Licata ed autorevole punto di riferimento sul territorio agrigentino delle paritetiche espressioni di cosa nostra di altre aree della Sicilia.
Ciò che ha reso ancor più evidente il potere esercitato dal gruppo mafioso capeggiato da LAURIA Giovanni è la dimostrata capacità di quest’ultimo di inserirsi in talune logge massoniche (lo stesso LAURIA Vito, figlio di LAURIA Giovanni, era all’epoca delle indagini Maestro Venerabile di una loggia con sede a Licata), avvalendosi altresì dei rapporti con LUTRI Lucio, insospettabile funzionario della Regione Siciliana a sua volta al tempo Maestro Venerabile di loggia massonica con sede a Palermo, il quale ha sistematicamente messo a disposizione della consorteria mafiosa la privilegiata rete di rapporti intrattenuti con altri massoni professionisti ed esponenti delle istituzioni.
La figura di LAURIA Giovanni
LAURIA Giovanni, personaggio centrale nelle indagini che hanno portato all’emissione dell’odierno provvedimento restrittivo, è mafioso il cui spessore criminale è stato già ampiamente ricostruito nei provvedimenti giudiziari che lo hanno definitivamente riconosciuto quale esponente di spicco di cosa nostra agrigentina.
In tal senso, basta ricordare che:
- l’appartenenza a cosa nostra di LAURIA Giovanni è stata oggetto di sentenza che lo ha condannato in via definitiva per il reato di cui all’art 416 bis c.p., essendo egli stato individuato quale punto di riferimento per l’allora rappresentante provinciale di Agrigento Giuseppe FALSONE per conto del quale trasmetteva messaggi e comunicazioni ad altri esponenti apicali di cosa nostra siciliana;
- LAURIA Giovanni, proprio per il legame che aveva con l’allora latitante FALSONE Giuseppe, era stato coinvolto dal capomafia calatino LA ROCCA Francesco (esponente di spicco dell’ala c.d. oltranzista di cosa nostra) nel tentativo di mediazione tra le opposte fazioni di cosa nostra agrigentina che avevano rispettivamente al vertice il citato FALSONE e DI GATI Maurizio.
Nonostante la condanna ricevuta e la pena espiata, LAURIA Giovanni non ha interrotto i rapporti con la consorteria ed è emerso nelle indagini che oggi hanno portato alla sua cattura quale assoluto protagonista di cosa nostra.
La figura di LAURIA Giovanni è inoltre per ultimo comparsa anche nella indagine denominata ASSEDIO, condotta dall’Arma Territoriale di Agrigento, nel cui contesto è stata documentata una rinnovata coesione all’interno di cosa nostraagrigentina tra gruppi mafiosi, in passato anche dialetticamente contrapposti, riconducibili alla famiglia di Licata.
Come emerso nel contesto investigativo in parola, a seguito della sua scarcerazione avvenuta nell’ottobre 2017, OCCHIPINTI Angelo aveva acquisito un ruolo di vertice in seno alla consorteria mafiosa di Licata ed aveva eletto a quartier generale del gruppo da lui diretto un magazzino dove egli teneva un jammer che attivava ogni qual volta avevano corso delle riunioni con altri uomini d’onore, e ciò nell’evidente convinzione che detto dispositivo avrebbe rappresentato un argine invalicabile alle investigazioni, rendendo impossibile la captazione dei dialoghi da parte degli investigatori.
Nel corso di una di tali riunioni è stato possibile registrare un colloquio intercorso proprio tra LAURIA Giovanni e OCCHIPINTI Angelo, avente straordinaria importanza investigativa, giacché si registrava l’intenzione dei due capi di unire i rispettivi gruppi al fine di ricompattare la famiglia mafiosa di Licata e ciò, evidentemente, per amplificarne il potere criminale e farla divenire una delle articolazioni mafiose più pericolose dell’intera cosa nostra.
Gli interessi della famiglia di Licata ed il contesto della Massoneria
Come sopra anticipato, le indagini svolte hanno consentito di acquisire plurimi e convergenti elementi indiziari sul concorso nel delitto di cui all’art 416 bis c.p. di LUTRI Lucio il quale, forte del suo incarico istituzionale di funzionario della Regione Siciliana e soprattutto della sua privilegiata rete di relazioni intrattenuta quale Maestro Venerabile di una loggia massonica di Palermo, si è messo a disposizione dell’associazione, sia acquisendo e veicolando informazioni riservate sulle attività di indagine in corso a carico della cosca, sia mettendosi in contattato con professionisti e compiacenti dipendenti della Pubblica Amministrazione (in gran parte anch’essi massoni) al fine di favorire le più disparate richieste (alcune delle quali illecite) avanzategli dai singoli componenti della famiglia di Licata per affari e vicende relative ai loro interessi patrimoniali.
Dalle indagini è altresì emerso che il rapporto tra i massoni LAURIA Vito e LUTRI Lucio era oggetto di un colloquio intercettato tra lo stesso LUTRI e MUGNOS Giovanni, durante il quale quest’ultimo riferiva al suo interlocutore che LAURIA Vito, in relazione ad un intervento che LUTRI doveva effettuare per la risoluzione dei debiti che LAURIA Giovanni aveva maturato per le spese della sua detenzione in carcere, gli aveva testualmente evidenziato che “tu non lo sai io e Lucio a chi apparteniamo… andiamo a finire… andiamo a finire sui giornali”, con ciò chiaramente riferendosi alla affiliazione massonica che lo accomunava a LUTRI ed il cui disvelamento, qualora correlato alla vicenda che questo ultimo stava seguendo per conto del capomafia LAURIA Giovanni, avrebbe avuto certamente un clamoroso effetto mediatico.
L’insospettabile ruolo svolto da LUTRI nell’interesse dell’associazione è plasticamente sintetizzato nelle parole pronunciate proprio da MUGNOS Giovanni il quale, oltre ad alludere alla protezione che la provincia mafiosa riferibile a MESSINA DENARO Matteo eserciterebbe in favore di LUTRI, chiariva che il nominato massone ha due facce… una… e due… e come se io la mattina quando mi sveglio e con una mano tocco il crocifisso e “dra banna” ho il quadro di Totò RIINA e mi faccio la croce.
LUTRI Lucio è senza dubbio entrato in un rapporto sinallagmatico con la cosca licatese, rapporto che ha prodotto reciproci vantaggi sia a lui stesso che a cosa nostra; invero, il vantaggio per il massone, in alcune occasioni, si è concretizzato nella possibilità di richiedere favori che soltanto una struttura criminale come quella mafiosa poteva garantire.
Ciò in particolare è accaduto allorquando LUTRI si è rivolto a CASA Giacomo al fine di costringere con metodi mafiosi un imprenditore restio ad onorare un debito nei confronti di una persona a lui vicina.
In altra occasione il massone si rivolgeva sempre a CASA per ottenere la mobilitazione della famiglia al fine di attivare contatti mafiosi nella zona di Canicattì; contatti che MUGNOS e gli altri sodali, su indicazione di LAURIA Giovanni, individuavano poi nel capo di quella articolazione mafiosa Lillo DI CARO.
A sua volta, l’associazione mafiosa ha avuto garantita da LUTRI la sua disponibilità e l’utilizzo di importanti canali massonici, ottenendo la stessa associazione e per essa i singoli esponenti della famiglia, vantaggi consistenti ora nell’acquisizione di informazioni riservate circa attività di indagine a loro carico, ora nell’interessamento di professionisti compiacenti e dipendenti infedeli della Pubblica Amministrazione.
La rete di favori, piccoli vantaggi ed entrature che LUTRI garantiva a tutti i principali componenti della famiglia mafiosa di Licata, veniva peraltro quasi orgogliosamente rivendicata dal medesimo LUTRI nel corso di un dialogo intercorso con MUGNOS Giovanni durante il quale egli si riferiva al costante lavoro di schermatura che garantiva agli uomini d’onore di Licata, consentendogli così di non comparire nei rapporti con enti e uffici pubblici, istituzioni e forze di Polizia.
Inoltre, dalle attività di ascolto poteva accertarsi che cosa nostra licatese confidava nella rete di rapporti anche internazionali dell’allora Maestro Venerabile per amplificare il proprio prestigio e per accrescere le potenzialità, tanto da ipotizzare la possibilità di estendere all’estero i propri interessi economico/criminali.
La particolare considerazione che gli uomini d’onore di Licata riponevano sulle potenzialità di LUTRI e dei suoi rapporti altolocati giungeva proprio dai due mafiosi MUGNOS Giovanni e LAURIA Angelo i quali, nel commentare l’efficacia dell’intervento di LUTRI per risolvere talune problematiche dello stesso MUGNOS, convenivano sulla concreta utilità che LUTRI riusciva sempre a garantire loro.
La sinergia tra LUTRI e la famiglia mafiosa di Licata veniva per ultimo efficacemente riassunta nel corso di una conversazione intercettata, durante la quale il primo, nell’interfacciarsi con il mafioso MUGNOS Giovanni, esclamava compiaciuto “ma chi minchia ci deve fermare più?”, espressione questa chiaramente evocativa di una comunanza di interessi e di una reciprocità tra il massone e cosa nostra licatese.
IL PROVVEDIMENTO DI CUSTODIA CAUTELARE ODIERNO
Nell’ambito del medesimo procedimento penale, questa mattina, è stata eseguita l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal G.I.P. del Tribunale di Palermo nei confronti degli indagati già sottoposti a fermo di indiziato di delitto.
Il provvedimento ha altresì coinvolto:
CUSUMANO Antonino, destinatario della misura cautelare degli arresti domiciliari poiché ritenuto responsabile di favoreggiamento aggravato dall’aver agevolato l’associazione mafiosa; M.A., destinatario della misura dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria anch’egli ritenuto responsabile del medesimo delitto.
I predetti, unitamente a M.M. (indagato per lo stesso reato) sono stati sottoposti a perquisizione domiciliare.