Operazione “Sorella Sanità”: arrestato per corruzione il manager anti-tangenti e commissario Covid. 10 arresti a Palermo
Antonio Candela, 55 anni, attuale Coordinatore della struttura regionale per l’emergenza Covid – 19 in Sicilia, è tra i 10 arrestati dell’operazione della guardia di finanza su alcuni appalti pubblici milionari della sanità. Candela, che è ai domiciliari, è stato Commissario Straordinario e Direttore generale dell’Asp 6 di Palermo. Proprio alcune gare indette dall’Asp di Palermo, secondo gli inquirenti, sarebbero al centro di un giro di mazzette. Candela era stato protagonista di numerose iniziative per la trasparenza e la legalità. Tanto da ricevere i complimenti dell’allora presidente della Regione Rosario Crocetta e dell’assessore alla Sanità del tempo, Lucia Borsellino, per i risparmi ottenuti dalla sua gestione. In particolare Candela aveva revocato diverse gare d’appalto con risparmi per circa 54 milioni di euro: 10 per la base d’asta della fornitura di pannoloni, sei per la base d’asta dei sistemi informativi dell’azienda, 18 per l’appalto dei sistemi di vigilanza e circa 20 milioni il servizio di gestione e manutenzione degli impianti tecnologici.
Una maxi operazione delle Fiamme Gialle – denominata “Sorella Sanità” – ha, infatti, svelato un intreccio perverso su un sistema che avrebbe consentito di pilotare appalti milionari della Sanità in Sicilia. L’indagine, che coinvolge imprenditori e funzionari pubblici, ha portato all’arresto di 10 persone accusate, a vario titolo, di corruzione. Gli investigatori avrebbero accertato un giro di mazzette che ruotava intorno alle gare indette dalla Centrale Unica di Committenza della Regione Siciliana e dall’ASP 6 di Palermo per un valore di quasi 600 milioni di euro. Con lo stesso provvedimento il gip ha disposto il sequestro preventivo di sette società, con sede in Sicilia e Lombardia, nonché di disponibilità finanziarie per 160mila euro, quale ammontare allo stato accertato delle tangenti già versate: le tangenti promesse ai pubblici ufficiali raggiungerebbe tuttavia una cifra pari ad almeno 1.8 milioni di euro, su gare per un importo complessivo di quasi 600milioni di euro appunto.
In particolare, gli investigatori hanno analizzato quattro procedure a evidenza pubblica interessate da condotte di turbativa, aggiudicate a partire dal 2016. Nel mirino degli inquirenti sono finiti: la gestione e manutenzione apparecchiature elettromedicali – gara bandita dall’Asp 6 del valore di 17 milioni e 635mila euro; i servizi integrati manutenzione apparecchiature elettromedicali – bandita dalla CUC del valore di 202 milioni e 400mila euro; la fornitura vettori energetici, conduzione e manutenzione impianti tecnologici – bandita dal Asp 6 del valore di 126 milioni e 490mila euro. E infine i servizi di pulizia per gli enti del servizio sanitario regionale – bandita dalla CUC del valore di 227 milioni e 686mila euro.
Tra le persone finite in manette, c’è anche l’attuale direttore dell’Asp 9 di Trapani, Fabio Damiani, 55 anni. Il manager è finito in carcere insieme a un faccendiere che, secondo gli inquirenti, sarebbe stato il suo “referente” nel sistema delle tangenti, Salvatore Manganaro, 44 anni, originario di Agrigento.
Le intercettazioni
“Una volta che poi l’hai vinta non ci vediamo più e mi mandi a dire Roberto ‘mi inizia a mandare i soldi così mi tappi la bocca mi compri con i soldi’ facendomi vedere che rispetti gli impegni, Salvo fammi dire però che è scontato che è il cinque netti dei contratti”. Parlavano così gli indagati intercettati dalla guardia di finanza che hanno ricostruito il tariffario da rispettare negli appalti della Sanità siciliana che sarebbero stati pilotati: il 5% del valore della commessa aggiudicata. Il quadro che emerge dalle intercettazioni dell’inchiesta è desolante. “All’assistenza tecnica mi busco io personalmente 15mila euro al mese, io per nove anni m’incasso 15mila euro senza fare un’emerita m…”. E ancora: “Quando abbiamo cambiato la busta e loro fatto il ribasso lo sapevano”. Secondo gli inquirenti le aziende che vincevano le gare, tra loro importanti società di livello nazionale, erano consapevoli che avrebbero dovuto pagare delle tangenti secondo uno schema collaudato. Grazie al pagamento delle “mazzette” le aziende potevano contare sull’attribuzione di punteggi discrezionali, che non riflettevano il merito del progetto presentato; la sostituzione delle buste contenenti le offerte economiche; il pagamento di stati avanzamenti lavoro anche in mancanza della documentazione giustificativa necessaria e la diffusione di informazioni riservate, coperte da segreto di ufficio. I pagamenti delle tangenti in alcuni casi avvenivano con la classica consegna di denaro contante, ma molto più spesso venivano invece mimetizzati attraverso complesse operazioni contabili instaurate tra le società aggiudicatarie dell’appalto e una galassia di altre imprese, intestate a prestanome, ma di fatto riconducibili ai faccendieri di riferimento per i pubblici ufficiali corrotti. Per rendere ancora più complessa l’individuazione del “sistema”, gli indagati si erano spinti fino alla creazione di trust fraudolenti, con l’obiettivo di schermare la reale riconducibilità delle società utilizzate.