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Racalmuto: Carmelo Sardo presenta il libro “Malerba”

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Sì è svolto oggi pomeriggio nell’atrio del comune di Racalmuto, la presentazione del libro “Malerba” scritto da Carmelo Sardo sulla testimonianza del pentito Grassonelli, sulla strage di Porto Empedocle agli inizi degli anni ’90. La presentazione è iniziata con i saluti del Direttore della testata giornalistica “Malgrado tutto”, Egidio Terrana. Subito dopo presa la parola, il giornalista Gaetano Savatteri,  si è parlato come Il giovane giornalista Sardo, abbia conosciuto il Grassonelli.  Il giovane giornalista degli anni ’90 in cui lavorava in una emittente tv “Teleacras”, nei suoi servizi molto particolari, comunicava ai telespettatori, la cronaca locale.

All’interno della presentazione, si letta, la lettera del pentimento di Grassonelli ai cittadini di Porto Empedocle.

La Redazione

La Lettera dice così:

Sono il cittadino Giuseppe Grassonelli, detenuto da 22 anni con una condanna all’ergastolo e in questo periodo ristretto presso il carcere di Sulmona. Non ho riflettuto a lungo prima di chiedere scusa a tutti i cittadini onesti di Porto Empedocle: a tutte queste persone intendo esprimere tutto il mio rammarico per avere determinato con le mie azioni violente una oggettiva disarmonia a tutta la Comunità, per la quale sento, dentro al mio cuore, un forte e radicato senso di appartenenza. Sono stato in passato un barbaro criminale: ho offeso la Vostra dignità di persone per bene e non ho avuto nessun rispetto di tutti quei principi fondamentali che presiedono alla convivenza civile. A tutti Voi chiedo rispettosamente scusa, ma allo stesso tempo Vi chiedo di riflettere su quelli che furono gli anni ’80. Vi chiedo di rapportarvi con la mia storia criminale nel tempo in cui i fatti sono accaduti e le circostanze che li hanno determinati. È importante cioè che Voi proviate a guardare un po’ oltre i gravissimi crimini da me commessi e che esaminiate il contesto in cui questi sono maturati. Se questa relazione non la vedete la storia, la “nostra Storia”, non può essere compresa. Questo è oggi il mio dovere etico: “restituire” una conoscenza. L’uomo può soltanto restituire, ma nessuna restituzione è possibile come ritorno indietro dell’uguale; non potrò mai restituire la vita a chi di questa l’ho privato, perciò la mia restituzione alla Comunità è e sarà sempre inadeguata. Anche se nel frattempo sto restituendo la mia vita. Il 21 settembre del 1986 era una calda sera di fine estate – io ero un ragazzo ventenne, appena congedato dal servizio militare – quando un commando di assassini entrò in azione compiendo una strage a colpi di mitra nella piazza centrale di Porto Empedocle… Quello che videro i miei occhi da ragazzo fu terrificante: mio nonno, mio zio e altre persone erano stese a terra; i loro corpi versavano in posizioni innaturali, crivellati dai proiettili. Io, pur rimanendo ferito ad un piede, mi salvai per puro miracolo. Dopo quella sera fu praticamente un tiro al bersaglio contro i miei familiari. Alcuni mesi più tardi un altro mio zio, un povero padre di famiglia, che aveva sempre vissuto onestamente del suo lavoro, fu massacrato senza pietà solo perchè aveva la colpa di chiamarsi Grassonelli. Solo per questo motivo. Non ebbero pietà nemmeno del fatto che, lo sapevano bene, avrebbero lasciati orfani quattro piccoli bambini. Io ero impaurito, come può esserlo un ragazzo ventenne totalmente all’oscuro di quanto stesse accadendo alla propria famiglia. I maschi dei Grassonelli sopravvissuti allo sterminio furono successivamente tutti arrestati. Io fui l’unico rimasto in libertà. Riparai in Germania, dove già vivevo da qualche anno, ma nemmeno in quest’ultima nazione mi lasciarono in pace. Qualche anno più tardi, dopo essere sfuggito a ben quattro agguati, mi organizzai e mi vendicai. Sì, è vero, ho ucciso più volte e non soltanto per vendicare i miei familiari massacrati senza pietà: sono stato spinto ad agire anche per ragioni di sopravvivenza, e mai dietro la spinta di ambizioni personali . Le origini del mio feroce comportamento criminale che hanno alla fine determinato le mie condanne penali sono da ricercare non in logiche di potere o altro, ma nelle ragioni di vendetta e di sopravvivenza. Avrei continuato a uccidere se non mi avessero arrestato: la rabbia verso chi mi ha privato di persone che amavo mi facevano sentire nel “giusto”. È vero, il dovere di un uomo civile è quello di rivolgersi alle Istituzioni: a nessuno deve essere consentito di farsi giustizia da sé. Ma negli anni ’80 non era così semplice : erano gli anni in cui la mafia era considerata qualcosa di invincibile, e lo Stato non soltanto appariva debole ma era anche lontano, molto, molto lontano dalla Sicilia… Affermo tutto ciò perchè vorrei provare a contestualizzarVi che in quel periodo io avevo 21 anni; ero terrorizzato non soltanto dalle continue uccisioni dei miei cari, ma anche perché non sapevamo a chi di noi fosse toccato, dopo. Come pensate che possa essere possibile vivere una vita così? Sì, sono d’accordo con Voi, quando sostenete che il dovere civico impone ad ogni cittadino di rivolgersi alle Istituzioni per ottenere Giustizia. Ma io pensavo, allora , che la mafia e lo Stato fossero la stessa cosa. Perciò non l’ho fatto.  A Voi chiedo di riflettere su quegli anni ’80 quando dei valorosi magistrati siciliani furono costretti ad abbandonare la Sicilia per potere istruire un processo. A quale Stato avrei dovuto rivolgermi a quello che già scappava per conto suo? Oggi è facile comprendere e valutare un male secolare qual è la mafia, ma ai miei tempi era tutt’altra cosa. Oggi è diverso. Oggi ho capito quanto siano davvero importanti e fondamentali i legami di legalità in ogni società. Se un domani conoscessi lo stesso odio, la stessa paura non esiterei nemmeno un istante a rivolgermi alle Autorità. Oggi credo nello Stato, nelle sue Leggi (posso anche non condividerle, ma le rispetterò sempre) e nella società civile. No, non sto chiedendo il Vostro perdono. È impossibile che io possa essere perdonato per il male che ho fatto alla Comunità, nessuno può farlo. Per tutto ciò sto pagando il mio debito alla società da ventidue anni e continuerò a pagarlo per tutto il resto della mia vita, anche se oggi sono l’opposto di tutto quello che sono stato; anche se sono uscito dalla mia storia del passato e sono ritornato ad abitare la VERITA’. Ho riflettuto a lungo però prima di scrivere le mie riflessioni ai più giovani riguardo i valori della Libertà, dell’Amicizia e della Giustizia. Alla fine ho deciso di scriverle ugualmente, qualsiasi siano le strumentalizzazioni che ne verranno fatte. Sono cioè consapevole che il mio passato non mi aiuta e sono d’accordo con tutti coloro i quali affermeranno, legittimamente : “Ma senti chi parla?!”  Innanzi tutto: sono padre di due figli e al solo pensiero che loro possano finire in carcere, al solo pensiero che possano soffrire quello che ho sofferto io; al solo immaginarli chiusi dentro una lurida cella per 22 ore al giorno, ebbene questi pensieri mi fanno stare male da morire… Queste mie dolorose riflessioni mi spingono a spiegarvi , Cari Giovani Empedoclini e Siciliani, cosa significhi esattamente per un uomo essere privato della propria libertà. Credo che nessuno possa spiegarvelo meglio di me: ho vissuto e vivo appunto sulla mia pelle, giorno dopo giorno, notte dopo notte, ora dopo ora, minuto dopo minuto questa condizione dolorosissima. E’ soltanto la libertà a costituirci come persone e questa si concretizza nel non essere asserviti a degli “ordini precostituiti” (comunque si chiamino: mafia, cosa nostra, stidda, camorra ecc.), ma nell’avere una natura aperta. Una Natura che consenta di autoprogettarvi ed autorealizzarvi in base alle scelte che voi stessi liberamente, decidiate di compiere. La nostra esistenza di uomini LIBERI si materializza, “banalmente”, in quel potersi godere il sole, quando si vuole, in tutta la sua magnificenza (in carcere anche il sole è prigioniero: tutti i giorni lo si vede a “quadretti”); nel sentire sulla propria pelle l’ebbrezza del vento e del mare: non avete idea quanto mi manchi il mare,le mie lunghe nuotate, le mie immersioni… Mi manca il silenzio (in carcere è un continuo aprire e chiudere cancelli – un intollerabile clang- clang – un continuo sbraitare…); mi mancano i grandi spazi. Mi manca l’amore… quello fisico intendo, anche se qualcuno sostiene che è più importante lo spirito, ma voi non dovete mai credere a chi vi dice queste stupidaggini: l’uomo è anche corpo, istinto, desiderio e con questi deve farci i conti tutti i giomi e…tutte le notti… La vita di un uomo civile si realizza nello stare accanto ai propri affetti ( ed io da questi sono ormai lontano da tantissimi anni) e nello scegliersi gli amici liberamente. La vera amicizia è qualcosa di sacro ed essa si realizza solo tra gli uomini per bene, e non si ottiene se non attraverso una stima reciproca. La vita mi ha insegnato, mio malgrado, che ciò per cui un amico si fida dell’altro è la conoscenza che ha della sua integrità morale: non ci può mai essere amicizia dove si trovano crudeltà, slealtà e ingiustizia. Mai. Ricordatevi sempre che solo attraverso il rispetto della Legge è possibile regolare il comportamento futuro degli uomini: essa soltanto può essere in grado di indirizzare le nostre condotte anche al fine di evitare le ostilità tra gli uomini. Senza il rispetto delle regole, credetemi, non sarebbe mai possibile la sopravvivenza di nessun gruppo sociale: osservate e giudicate come certe famiglie a Porto Empedocle si siano letteralmente sterminate a vicenda per non avere fatto ricorso alla Legge e. . .guardate le loro donne … sole e abbandonate al loro triste destino… La vera tragedia rimane sempre al dolore eterno delle d0nne… alle mogli che hanno perso i loro mariti e, ancora più terrificante, alle povere madri che hanno perso i loro figli…  Cari Giovani, ascoltatemi e pensate soltanto a godervi la vita in tutte le sue sfumature, grandi e piccole, e non smettete mai di riflettere sull’importanza della Libertà, della Legalità e della Giustizia. Vi ringrazio per la Vostra attenzione. “Il Testo della lettera dalla fonte della testata Malgradotutto”.

 

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