Riserva della Biosfera per il parco dei banchi dello stretto di sicilia
07:01 – Lo Stretto di Sicilia rappresenta un settore del bacino Mediterraneo di elevata rilevanza sociale, economica ed ambientale. I popoli che abitano in questa regione possono vantare grandi tradizioni storiche e culturali di diversa origine (araba, berbera, greca e latina-occidentale) che, nel corso dei secoli, hanno convissuto e raggiunto insieme grandi traguardi, testimoniati dalle tradizioni culturali e marinare che permangono ancora ai nostri giorni attraverso insigni realizzazioni nel campo della cultura materiale e immateriale.
Lo Stretto di Sicilia è, inoltre, oggi unanimemente considerato il principale hotspot della biodiversità mediterranea. In questo tratto di mare tra Sicilia, Malta, Libia e Tunisia sono presenti tutte le specie marine protette del Mediterraneo capodogli, balene, tursiopi, stenelle, delfini, globicefali, grampi, squalo bianco, cetorino, mobula, tartaruga comune (caretta caretta), tartaruga liuto, foca monaca, Posidonia oceanica, Pinna nobilis, Lithophagaspp., laminarie, maerl, corallo rosso, ecc..
Nell’ambito dei piani di monitoraggio dell’Osservatorio Regionale sulla Biodiversità della Regione Siciliana, è stata condotta dall’ISPRA una campagna di ricerca svolta, dal 18 al 29 luglio di quest’anno a bordo della nave oceanografica Astrea. I piani di monitoraggio sono rivolti a colmare vuoti conoscitivi sulla biodiversità dei mari, che circondano l’Isola, con particolare riferimento ai Banchi dello Stretto di Sicilia e alla biodiversità delle aree idrotermali e vulcaniche sommerse. I banchi sino a oggi osservati sono stati il banco Avventura, il banco Terribile, il banco Pantelleria e il banco Graham con Ferdinandea e altri 8 coni e pinnacoli minori. I risultati preliminari, analisi delle acque superficiali e profonde, hanno già evidenziato oltre 100 specie animali e vegetali e 10 diversi habitat, di cui almeno 13 specie e 7 habitat sono protetti, in varia misura da accordi e normative internazionali.
Lo Stretto di Sicilia rappresenta attualmente anche la più importante zona di pesca di specie maggiori e minori di grandi pelagici, di specie demersali e sono presenti nell’area anche stock di piccoli pelagici come le acciughe, gli sgombri e le sardine che hanno consentito, sin dall’antichità, l’insediamento dell’uomo sulla costa.
Un ruolo essenziale, unico e irreplicabile per la biodiversità e la produttività dello Stretto di Sicilia, è giocato dai banchi o bassi fondali (Graham, Skerki, Avventura, Talbot, Terribile, Alluffo, banco di Pantelleria, ecc.) che rappresentano ambienti fragili ma indispensabili alla diversità biologica e alla produttività dell’intera area.
La rilevanza ecologica e naturalistica di questi peculiari biotopi ha indotto gli stati costieri che si affacciano nello Stretto di Sicilia a valutare la possibilità di realizzare nell’area dei banchi una zona protetta transazionale che rappresenti un santuario della biodiversità per tutelare le specie protette e gli ecosistemi sensibili e impedire la pesca illegaleed altre attività che rischiano di alterare irreversibilmente l’habitat ed il patrimonio ivi esistente. Per la protezione degli habitat, soltanto lungo le marine e le coste della Sicilia occidentale già si contano 26 S.I.C. oltre 7 Z.P.S. e 7 A.M.P.
L’interesse culturale, ambientale ed economico di proteggere, con il coinvolgimento insieme all’Italia dei paesi sia “transfrontalieri” (Malta) che di “prossimità” (Libia, Tunisia) lo Stretto di Sicilia ha nella tutela dei banchi un’importanza preminente.
In particolare, i banchi dello Stretto di Sicilia rappresentano un ecosistema di incredibile rilevanza ecologica per precisi motivi scientifici poiché creano una discontinuità naturale sulla monotonia di fondali mobili esercitando attrazione da corpo solido (tigmotropismo positivo) per molte specie per le quali diventano un “meeting point” in mare aperto.
Inoltre i suddetti banchi:
-realizzano una discontinuità batimetrica e di substrato accogliendo fauna e flora non insediabile sui fondali in cui il banco sorge; la biodiversità dei banchi risulta essere estremamente alta e mostra una elevata variabilità rispetto alla sua natura, alla profondità ed all’esposizione.
-giocano un ruolo ecologicamente rilevante poiché gli ecosistemi di basso fondo del largo sono molto diversi dagli analoghi costieri essendo sottoposti a minore impatto antropico (overfishing, inquinamento, turismo) e naturale (apporto terrigeno e di nutrienti da parte di corsi d’acqua, sedimentazione costiera).
-offrono rifugio o tana ad adulti di molte specie marine diventando così aree di riproduzione in grado di sostenere gli stock ittici e il sistema ambientale dello Stretto di Sicilia nel suo complesso (nasello, triglia di scoglio, triglia di fango, pagello fragolino, scorfano rosso, scorfano di fondale, seppia, polpo, moscardino muschiato, gattuccio, scampo, gambero rosa, gambero rosso, gambero viola, mostella). Tradizionalmente in essi, infatti, sono state prevalentemente incentrate le attività di pesca di Mazara del Vallo che hanno consentito fatturati annui anche di circa 200 milioni di euro.
-rappresentano aree di nursery per molti organismi marini naturalmente difese dalla pesca industriale.
-sviluppano un livello trofico aggiuntivo in ambiente pelagico offrendo risorse alimentari addizionali a specie di grandi predatori quali mammiferi marini e squali.
-ospitano biocenosi sensibili e fragili come posidonieti, coralligeno del largo, merl (alghe calcaree), oggi protette dalle convenzioni internazionali ed integre solo in ambiente di banco, essendo state seriamente compromesse in ambiente costiero.
favoriscono la costruzione di un micro-sistema completo, sviluppando rapporti ecosistemici ed una biodiversità unica e non replicabile.
-consentono la fissazione dell’energia ed il suo trasferimento trofico creando biomassa che viene esportata nelle aree vicine.
Inoltre, la fruizione ricreativa e culturale dei banchi dello Stretto di Sicilia può rappresentare una prospettiva rilevante di didattica ambientale, di offerta sostenibile del paesaggio sommerso fruibile sia dal turismo subacqueo che da una utenza diffusa, attraverso sistemi di visione remota.
Questi sono solo alcuni tra i motivi che rendono i banchi dello Stretto di Sicilia degli ecosistemi di estrema importanza ecologica e ambientale per il Mare Mediterraneo la cui tutela è necessaria sia nel rispetto della conservazione della diversità biologica raccomandata da numerosi strumenti internazionali (Countdown 2010, Convention on BiologicalDiversity, Mediterranean Action Plan, Convenzione di Barcellona, Direttiva Habitat, ACCOBAMS, Convenzione di Bonn, ecc.) sia al mantenimento del loro ruolo produttivo a livello di bacino (Precutionaryapproach to fishery (FAO), Code of Conduct for a ResponsibleFishery (FAO), Reikjavichdeclaration ecc.).
Nello Stretto di Sicilia si conserva anche un eccezionale Patrimonio culturale sommerso. La Dichiarazione di Siracusa del marzo 2001 e la Convenzione internazionale UNESCO sulla protezione del patrimonio culturale sommerso (Parigi novembre 2001) entrata in vigore il 2 gennaio del 2009, hanno posto la necessità di tutelare e valorizzare il patrimonio culturale ancora presente nei fondali del mare Mediterraneo poiché bene comune dell’umanità. Lo Stretto di Sicilia possiede fondali fra i più importanti del globo terracqueo, poiché vi si trovano, conservate le testimonianze della vita dell’uomo preistorico (dal paleolitico inferiore al neolitico) in una delle aree più interessanti di contatto tra continenti, essendo stato in gran parte emerso fino alla fine del Pleistocene e gli inizi dell’Olocene. Numerosi insediamenti abitati preistorici si trovano oggi sotto metri d’acqua nella vasta area tra la Sicilia la Tunisia e la Libia.
Alla fine del Pleistocene e inizi dell’Olocene (Paleolitico superiore e Mesolitico) risalgono le prime raccolte di molluschi marini rintracciate nelle grotte costiere. All’inizio del Neolitico risalgono le prime esperienze di pesca. A epoca greca – romana risalgono le prime installazioni per la pesca e la lavorazione del pescato rese evidenti da elementi e complessi architettonici diffusi lungo le coste della Sicilia, della Tunisia e della Libia.
Con la scoperta delle qualità intrinseche dell’ossidiana avvennero le colonizzazioni neolitiche di Malta, di Pantelleria, delle Pelagie, delle Eolie ed anche di molte isole dell’Egeo.Con il commercio dei metalli gli scambi mediterranei e le relative rotte si organizzarono e divennero frequenti creando i primi sistemi mercantili, cretesi e micenei.Nei primi secoli del I millennio a.C. si ripresero i commerci con la diaspora fenicia e la colonizzazione greca verso oriente e verso occidente. Con lo sviluppo del commercio, richiesto dall’esistenza di grandi agglomerati urbani, comparvero grandi aziende commerciali e le prime grandi imprese di trasporto marittimo.
I fondali dello Stretto di Sicilia conservano un patrimonio immenso di civiltà costituito dagli innumerevoli relitti di ogni epoca e origine che sono l’emblema del forte carattere interculturale di quest’area.La ricerca archeologica ha permesso di tracciare i flussi e sistemi commerciali del Mediterraneo sia in senso Est-Ovest che Nord-Sud, già dalla seconda metà del II millennio a.C. Viaggiavano merci di ogni tipo. Dal grano al vino ed all’olio, ma anche frutta e pesce secchi. Inoltre in varie località del Mediterraneo sono stati documentati trasporti marittimi di materiali lapidei eelementi da costruzione fin dal I secolo a. C. Oltre i convogli e le rotte marittime dell’antichità e della classicità, si annoverano anche le rotte marittime militari di età fenicio-punica, greca e romana, medievale e moderna.
Lo Stretto di Sicilia è certamente lo spazio di mare più ricco di storia di tutto il Mediterraneo. Un’ipotesi storiografica tutt’altro che fantasiosa pone il metaforico limite delle Colonne d’Ercole proprio tra la Sicilia e il Nord Africa almeno fino all’età arcaica e classica per poi spostarsi verso Gibilterra durante l’ellenismo.
Numerosi relitti testimoniano l’uso delle rotte commerciali nel Mediterraneo nelle varie età e in buona parte interessano le aree dello Stretto di Sicilia; da Pantelleria (Scauri) a Porto Palo di Menfi, a Marausa (Trapani), alle Egadi e tracce consistenti di relitti di epoca greca – romana si hanno perfino a Lampedusa, nella vicina Linosa e nello scoglio di Lampione. Una grande concentrazione di relitti antichi, in acque profonde, si trova a nord-ovest della Sicilia, lungo una via di comunicazione tra Roma e il Nord – Africa: nei pressi del Banco Skerki a circa 800 m di profondità, sono stati rinvenuti otto relitti di varia epoca. Sulle coste tunisine e libiche annoveriamo decine di relitti tra cui ricordiamo quello ricco di oggetti d’arte scultoria in bronzo e marmo di Madhia presso l’omonima cittadina costiera tunisina.
Una grande statua bronzea raffigurante un satiro in atteggiamento di danza vorticosa, un vero capolavoro dell’arte greca della fine del IV secolo a.C. attribuito a Prassitele, è stata recuperata tra Pantelleria e capo Bon. In età medievale e moderna le navigazioni commerciali e militaris’intensificarono lasciandoci ulteriori testimonianze nei già ricchi fondali dello Stretto.
Su tali trame commerciali e sul retaggio di quelle più antiche si è costruita la civiltà mediterranea che interpreti del calibro di Braudel, Pirenne, Matvejević, e Abulafia ci hanno mirabilmente descritto. Una civiltà unitaria ma fortemente articolata e ricca di tradizioni, credenze, consuetudini, miti e leggende che sono alla base della nostra esistenza di cittadini del Mediterraneo.
Anche la storia più recente conserva negli abissi di questo mare le sue pagine più significative attraverso la presenza dei tanti relitti risalenti al secondo conflitto mondiale.Dal giugno del 1940 al settembre del 1943 vi si svolse quell’insieme di operazioni aero – navali ufficialmente definito”Difesa del Traffico”, ma più noto come la “Battaglia dei Convogli”. In quegli anni in questa zona del Mediterraneo si confrontarono da una parte le unità militari e mercantili italiane, impegnate a rifornire di uomini e materiali i fronti d’oltremare, e dall’altra parte le forze navali britanniche che a tali azioni si opposero, prima, e, da alleate, poi, le protessero.Tutti quegli eventi hanno prodotto affondamenti, e dunque relitti, che hanno assunto valore storico e sacro poiché cimiteri di guerra. A ciò si aggiungano i numerosi inabissamenti registrati durante la prima guerra mondiale, soprattutto per siluramento dei micidiali u-boot tedeschi, tra i quali si ricorda quello del piroscafo Ancona che portava in America tanti nostri poveri connazionali in cerca di fortuna.
A dispetto della loro importanza naturalistica, ecologica, economica e culturale, i banchi dello Stretto di Sicilia sono già oggettid’iniziative incompatibili con la loro tutela e la conservazione del loro ruolo ecologico, paradossalmente giustificate e addirittura motivate da presunte quanto inverosimili attenzioni per l’ambiente.
E’, pertanto, urgente e necessario disciplinare la pesca a strascico e altre attività consimili, individuando zone d’interdizione poiché continuare tali tipi di attività al ritmo attuale significherebbe la distruzione pressoché totale sia della biodiversità che del patrimonio culturale sommerso.
Recentemente sono stati definiti progetti per realizzare nei banchi dello Stretto di Sicilia “parchi eolici” che prevedono la realizzazione di centinaia di piloni, alti ognuno circa 60 metri e fissati su basamenti di cemento, difesi da imponenti opere di protezione e interconnessi tra loro da centinaia di chilometri di cavi e rispettiva centrale sui fondali collegata a quella di terra mediante cavi interrati.
La realizzazione di queste opere, non solo deturperebbe irrimediabilmente la naturalità dei luoghi ma distruggerebbe attraverso i lavori di scavo, posa, messa in uso e attività l’ambiente dei banchi interessati compromettendo irreversibilmente la loro biodiversità, la loro funzione ecologica e le specie e gli ecosistemi protetti che essi ospitano. La realizzazione dei parchi eolici nei banchi infliggerebbe altresì una profonda ferita alla sensibilità ed all’intelligenza di quanti ancora pensano sia possibile coniugare sviluppo ed ambiente.
Ma un altro pericolo incombe sull’integrità di questo delicato e importante ecosistema. Si tratta della ripresa di un’insensata corsa al cosiddetto oro nero nei mari italiani, con le trivellazioni petrolifere offshore. Zone di pregio marine e costiere sono esposte al rischio d’inquinamento derivante dalle varie attività connesse sia inerenti la fase di ricerca che di sfruttamento. L’uso dell’air-gun nella ricerca geologica, l’uso di fanghi e fluidi durante le attività di ricerca e perforazione, il rilascio delle acque di produzione e i possibili rischi d’incidentinelle piattaforme offshore costituiscono rischi imprevedibili quanto possibili che produrrebbero danni di enorme portata per l’equilibrio ecosistemico dell’area in questione e per l’integrità del suo patrimonio culturale.
Quanto previsto risulta ancora più assurdo se si pensa che tale ripresa delle attività estrattive potrebbero produrre una quantità di petrolio (9,778 milioni di tonnellate) che, stando ai dati sui consumi nazionali (59 milioni di tonnellate consumate in Italia nel 2013), sarebbe sufficiente a risolvere il nostro fabbisogno petrolifero per sole 8 settimane, appena due mesi (fonte Legambiente).
La pressione per l’accelerazione di tale attività è talmente forte che con la legge 134/12 sono stati fatti salvi tutti i procedimenti autorizzativi aperti al giugno 2010 e buona parte di questi prevedono impianti all’interno della fascia marina delle dodici miglia. Si assiste, dunque, alla riapertura delle istanze di permesso di ricerca in precedenza rigettate.
Nello Stretto di Sicilia sono già in attività 5 piattaforme che a fine 2013 hanno estratto ben 301.471 tonnellate di greggio (42% della produzione nazionale a mare) e già sono state avanzate altre 3 richieste di concessione e altre 10 istanze di ricerca. Tra Gela e Ragusa, si trovano le piattaforme Gela, Perla (ad appena 13 chilometri dalla costa, di fronte a una delle raffinerie più grandi del paese), Prezioso, Vega A, per un totale di 33 pozzi. E’ già pronta la nuova piattaforma Vega B, a poco più di 12 miglia dalla costa, che dovrebbe garantire 16,7 milioni di barili di petrolio tra il 2016 e il 2037.Le piattaforme Perla e Prezioso (entrambe di proprietà dell’ENI) dai primi anni ottanta raccolgono il petrolio estratto da una decina di pozzi per poi mandarlo in raffinazione all’impianto costiero di ENI a Gela. Vega A, con 15 pozzi, di proprietà Edison, ha prodotto quasi 170 mila tonnellate nel 2011.Un progetto che gli “investitori” definiscono importante per il nostro Paese ma che lascia molti dubbi per quanto riguarda la tutela ambientale e la tutela dello Stretto di Sicilia, già ampiamente minacciato da 14 nuove richieste di permessi di ricerca e concessioni di coltivazioni.
Il dossier del WWF “Trivelle in vista” mette in evidenza, inoltre quanto..” i canoni annui per le licenze sono risibili e non incidono assolutamente sui costi di produzione, visto che il prezzo del petrolio va alle stelle e il margine di guadagno per i petrolieri sale esponenzialmente”.
Certamente la cultura ecologica e non solo, ha già creato abbondante sensibilizzazione nell’opinione pubblica e certamente si avverte come imperativo il coniugare cultura, partecipazione e diritti, nelle forme delle tutele dei beni indispensabili al migliore sviluppo delle condizioni di vita per questa e per le generazioni future.
Pertanto invitiamo le Istituzioni, gli Enti pubblici, le Associazioni, i circoli intellettuali, la più vasta opinione pubblica e tutti coloro che nella tutela dei beni pubblici individuano e verificano il sussistere dell’interesse culturale, ambientale, sociale ed economico a mettere in atto iniziative mirate a sensibilizzare l’opinione pubblica ed i centri decisionali a desistere dall’intraprendere siffatte attività che, inevitabilmente ed irreversibilmente, arrecherebbero danni ingenti all’ecosistema dei banchi ed al loro patrimonio culturale.
Sono da difendere numerose specie marine protette del Mediterraneo e stock ittici di particolare importanza commerciale. Lo sviluppo della pesca delle specie selvatiche, con procedure artigianali e sportive, sviluppo del turismo culturale e scientifico, non sono contemplati nei business plan delle società petrolifere.
Auspichiamo, pertanto, interventi mirati e tempestivi al fine di sottrarre alla possibile distruzione e preservare per future generazioni uno degli ultimi lembi di Mediterraneo con un ambiente culturale dove si conservano livelli di naturalità comparabili a quelli che avrebbero potuto osservare, migliaia di anni fa, i primi navigatori di questo mare e che ancora oggi giocano un ruolo determinante nell’economia dell’intero Mediterraneo centrale.
Il dibattito culturale sul tema si intensifica di giorno in giorno, non soltanto le opposizioni di politici e cittadini ma ora anche la Scienza prova a spiegare al Governo perché le scelte adottate in materia energetica rappresenterebbero un grave ostacolo allo sviluppo economico del nostro Paese. Risulta significativa, a tal proposito, una lettera firmata da 22 scienziati dove è contenuto l’appello accorato a ritirare le disposizioni per le trivellazioni off shore nei mari italiani.
L’Italia non ha carbone, ha pochissimo petrolio e gas, non ha uranio, ma ha tanto sole e le tecnologie solari altro non sono che industria manifatturiera, un settore dove il nostro Paese è sempre stato all’avanguardia. Sviluppando le energie rinnovabili e le tecnologie a esse collegate il nostro Paese ha un’occasione straordinaria per trarre vantaggi in termini economici (sviluppo occupazionale) e ambientali dalla transizione energetica in atto.
Gli scienziati ricordano che la vera fonte di energia risiede nel risparmio energetico purché sia adottato come strategia nazionale e non solo come iniziativa del singolo cittadino. Nella riqualificazione energetica degli edifici, nella riduzione dei limiti di velocità sulle autostrade, nel sostegno dell’uso delle biciclette e dei mezzi di trasporto pubblici si trovano inaspettate risorse energetiche da rivalutare e condividere, piuttosto che nelle trivellazioni alla ricerca d’idrocarburi che rappresentano oramai i combustibili da archiviare e dismettere.L’unica via percorribile per stimolare una reale innovazione nelle aziende, sostenere l’economia e l’occupazione, diminuire l’inquinamento, evitare futuri aumenti del costo dell’energia, ridurre la dipendenza energetica dell’Italia da altri Paesi, ottemperare alle direttive europee concernenti la produzione di gas serra e custodire l’incalcolabile valore paesaggistico delle nostre terre e dei nostri mari consiste nella rinuncia definitiva a estrarre le nostre esigue riserve di combustibili fossili e in un intenso impegno verso efficienza, risparmio energetico, sviluppo delle energie rinnovabili e della green economy.
Le energie rinnovabili non sono più una fonte marginale di energia, come molti vorrebbero far credere: oggi producono il 22% dell’energia elettrica su scala mondiale e il 40% in Italia, dove il fotovoltaico da solo genera energia pari a quella prodotta da due centrali nucleari.La transizione dai combustibili fossili alle energie rinnovabili sta già avvenendo in tutti i Paesi del mondo e l’Unione Europea ha messo in atto una strategia che propone come soluzione al riscaldamento globale, oltre al supporto al Protocollo di Kyoto, il cosiddetto “Pacchetto Clima 20-20-20”, che prevede l’aumento del 20% nell’efficienza energetica, la riduzione del 20% delle emissioni di gas serra e l’aumento del 20% della quota di energie rinnovabili entro il 2020. Nel 2011 la Commissione europea ha, inoltre, adottato la comunicazione “Energy Roadmap 2050” e si è impegnata a ridurre le emissioni di gas a effetto serra all’80-95% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2050. Nella tabella di marcia per l’energia 2050 la Commissione esplora le sfide poste fornendo obiettivo di decarbonizzazione dell’UE e allo stesso tempo garantire la sicurezza dell’approvvigionamento e la competitività di energia.
Al fine di evitare che i rischi derivanti dalle attività summenzionate vengano intraprese si propone di realizzare il grande parco dei banchi dello Stretto di Sicilia da inserire nella riserva della biosfera dell’UNESCO che conta già 612 riserve in 117 paesi dei cinque continenti e 9 in Italia. L’esistenza del grande Parco dei banchi dello Stretto di Sicilia potrà bloccare per sempre le pericolose attività summenzionate ed avviare quel virtuoso sviluppo basato sulla valorizzazione delle qualità intrinseche di questo territorio sia nel campo della biodiversità che storico-culturale.
LA REDAZIONE