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Violenza sessuale e punizioni fisiche in famiglia i carabinieri arrestano pregiudicato

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Nota: Questo comunicato non è un articolo prodotto dalla Redazione di “TV SICILIA 24”, ma una nota stampa esterna di cui pubblichiamo integralmente.


I Carabinieri del NOR della Compagnia di Canicattì hanno tratto in arresto un pluripregiudicato di Santa Elisabetta, attualmente affidato in prova ai servizi sociali dal Tribunale di Sorveglianza a seguito di una condanna per violenza privata, in esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Agrigento nei confronti di costui, responsabile di violenza sessuale su minore, maltrattamenti in famiglia e lesioni.

Le indagini sono iniziate alla metà di agosto, quando un’adolescente (minore degli anni 16) di Santa Elisabetta ha chiesto aiuto ai Carabinieri, accennando i gravissimi comportamenti del patrigno, solito rivolgerle delle attenzioni proibite.

Un racconto iniziale che ha immediatamente allertato la Procura della Repubblica di Agrigento, impegnata con i Carabinieri in un codice rosso che ha richiesto l’approfondimento del riservatissimo contesto sabettese e del chiuso delle sue famiglie.

Qui gli inquirenti hanno documentato la sottomissione subita dalla giovanissima vittima, prima oggetto di attenzioni particolari – iniziate quando ella aveva solo 10 anni – e poi, in una escalation tesa a vincerne la resistenza, assaltata in assenza dei familiari conviventi e sottoposta a violenti atti sessuali.

Altrettanto gravi le annotazioni dei Carabinieri riguardo i maltrattamenti patiti dal fratello minorenne della ragazzina, picchiato dal patrigno da quando aveva 8 anni e sottomesso al punto di credere di meritare le punizioni fisiche, inflittegli “…quando faccio cavolate ma per me questo non è normale…”, raccontate agli inquirenti come l’espressione di una violenza “…forte anche se non in maniera esagerata…”.

È comune nel racconto delle due vittime la presenza della “sucalora”, termine dialettale usato per indicare il tubo di gomma brandito dal patrigno per picchiarle.

Una prigione domestica fisica e psicologica, costruita dall’indagato con l’imposizione del silenzio sulle sue condotte e con una serie di vessazioni quali il divieto per le giovanissime vittime di frequentare i coetanei, i lunghi periodi di punizione trascorsi chiusi in casa e, per la ragazzina, il divieto di indossare la minigonna e di truccarsi.

L’indagato, valutato come proclive a commettere delitti della stessa specie (ne vanta un ricco curriculum ed era affidato in prova ai servizi sociali nel momento in cui commetteva i fatti che gli vengono contestati), è stato rinchiuso nel carcere di Agrigento.

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